L’architettura è una finestra sul mondo
La luce e il cemento armato: la scuola ticinese di Michele Arnaboldi
L'architettura come una finestra sul territorio. Autore di oltre cento progetti - tra cui Expo 2000 (Hannover), Banca Raffaisen (Intragna), l’ampliamento dell’Ospedale di Locarno, alcune infrastrutture per il Film Festival di Locarno, il piano d’indirizzo della Val Poschiavo - Michele Arnaboldi porta la scuola ticinese nel mondo e il mondo nel Canton Ticino. Architetto e urbanista tra i più conosciuti della Svizzera Italiana, oggi coordina alle porte di Locarno uno studio composto da oltre 20 persone che lavorano in modo diversificato, da progetti unifamiliari ai grandi concorsi pubblici, dai piani urbanistici a opere di rilevanza internazionale. Non ha mai tralasciato l’aspetto accademico, inteso come un’occasione per confrontarsi con le nuove generazioni di architetti, per sperimentare e innovare. Dopo aver insegnato all’università di Zurigo, prima come assistente poi come docente per la cattedra di Dolf Schnebli, e alla Washington University di St. Louis, dal 2002 è professore di progettazione architettonica all’Accademia di Mendrisio. Viene dalla scuola ticinese, un’impronta che ha nel sangue - e che traspare nelle sue creazioni - dopo aver collaborato insieme ai più grandi. Ha lavorato otto anni per Luigi Snozzi (“Un maestro, la vera formazione finita la scuola”) e ha intrattenuto rapporti diversi con Mario Botta, Livio Vacchini e Aurelio Galfetti, continuando il suo lavoro di ricerca legato al territorio fino alla realizzazione dell’“Atlante città Ticino”, un’analisi per capire come potrebbe svilupparsi in futuro il Canton Ticino inserito nel contesto della regione Insubrica, ponte d’unione tra la Svizzera e l’Italia. Arnaboldi considera i suoi piani urbanistici come strumento di impegno sociale che non tralascia l’aspetto etico, un’occasione unica per realizzare studi particolareggiati per formulare ipotesi di intervento di spazi collettivi dopo un’attenta lettura del territorio. I suoi piani urbanistici hanno il medesimo approccio dei progetti architettonici, caratterizzati da una stretta relazione di confronto che esiste fra l’aspetto razionale e geometrico dell’opera e la configurazione naturale del territorio che dialoga con il costruito. “È da questo confronto - ripete spesso Mario Botta - che l’architettura trova la ragione di proporsi come testimonianza del proprio tempo in quanto disciplina che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura”. I lavori di Arnaboldi incarnano alla perfezione questo concetto. Il cemento armato è la materia che predilige, l’ideale per risaltare ciò che per lui più conta: lo spazio e la materialità. E poi c’è il legno, che compare sempre di più, perchè “è un materiale sempre più interessante, tecnologicamente avanzato, raffinato”. Ancor più oggi, che siamo in piena crisi, “crisi che però dovrebbe diventare una grande opportunità per rivedere il nostro vivere. Il Covid-19 - spiega - ci racconta una realtà ormai critica, un modo di vivere non più sostenibile.
Ci manda un segnale forte per iniziare un cambiamento radicale dei valori della società contemporanea. Come architetti dovremo ripensare i territori e le città, dimenticare tutti gli aspetti egocentrici ed egoisti dell’architettura contemporanea per dedicarci a progetti condivisi e connessi al territorio e all’ambiente. Dovremo ripensare il significato di luogo, di genius loci, recuperare i valori presenti e locali. L’architettura è come un albero, nasce con le radici ancorate nella terra e si apre verso il cielo alla ricerca della luce. E l’albero deve ritornare al centro, nella speranza di costruire un mondo migliore per i nostri figli”.